Scoperti a Cerea (Verona) i calchi delle campane del Campanile di San Marco

Nel crollo del Paron de Casa avvenuto il 14 luglio 1902 si salvò solo la campana Marangona, la più grande di tutte. Le altre si trovarono spezzate ma non in modo da non poterne ricavare gli esatti modelli di forma e di ornamentazione così da poterle rifondere uguali.

Ora, grazie alla collaborazione di Fabio Tomelleri, giornalista dell’Arena di Verona e campanaro, veniamo a sapere qualcosa in più sulla ricostruzione delle quattro campane andate distrutte: Nona, Trottiera, Pregadi, Renghiera.

Sagome in legno delle campane del Campanile di San Marco di Venezia, foto di Fabio Tomelleri

Nel territorio veronese c’è un pezzo di storia del Campanile di San Marco, finora sconosciuto, in mostra ancora per pochi giorni all’Area Exp di Cerea. La collezione di calchi, provenienti dall’ex Fonderia artistica Munaretti di Venezia, è stata conservata dall’artista Guerrino Lovato, proprietario dei cimeli provenienti dalla bottega artigiana operativa fino al 1930 alle Zattere di Venezia. Sette anni fa i calchi in gesso e le sagome in legno (dime, ndr) utilizzate per fondere statue, ma anche campane, trovarono ospitalità al pianterreno dell’Ex Perfosfati. Proprio in questi ultimi mesi di permanenza della collezione Munaretti nella Bassa, è stato scoperto che tra i calchi e le sagome esposte vi sono pure gli stampi utilizzati per ricostruire, oltre un secolo fa, i bronzi del Campanile di San Marco a Venezia. Che la fonderia veneziana avesse preso parte alla ricostruzione di diverse parti della torre-simbolo della città lagunare, crollata nel 1902 e ricostruita «dov’era e com’era» nel decennio successivo, è cosa nota agli storici. Tuttavia, finora gli esperti avevano ignorato un coinvolgimento della fonderia veneziana nella realizzazione di campane. Documenti alla mano, Lovato dimostra come il fonditore Emanuele Munaretti fosse stato chiamato a coadiuvare il milanese Emanno Barigozzi nella ricostruzione di quattro delle cinque campane andate distrutte nel crollo. «Nella collezione», sottolinea Lovato, «ci sono i calchi dei fregi utilizzati sulle campane di San Marco e ci sono delle sagome in legno impiegate proprio per la fusione dei sacri bronzi». «Finora», conferma Luca Chiavegato, vicepresidente dell’Associazione suonatori di campane a sistema veronese (Ascsv), «anche tra i ricercatori di arte campanaria il nome della Fonderia Munaretti era pressoché sconosciuto». Quindi Chiavegato svela il «giallo» sulle campane di San Marco: «Avendo appreso della presenza dei calchi a Cerea ho interpellato un esperto di Venezia, Maurizio Panizzut, che mi ha confermato come il fonditore Munaretti fosse stato incaricato di coadiuvare Barigozzi dedicandosi al calco dei fregi delle vecchie campane. Tuttavia questo fu causa di dissidi tra i due fonditori, tanto che non fu apposto alcun nome sui bronzi.

Nel 1913 la storia delle campane del Paron de Casa era stata ben documentata dall’ingegnere Daniele Donghi: “Le campane che esistevano erano già state rifatte e nelle rifusioni non si erano perfettamente intonate. Dovendole ora rifondere si volle ottenere il risultato di un perfetto accordo conservando lo stesso bronzo. Non po tendosi, nè volendosi, variare la forma non restava che variarne leggermente la grossezza o la composizione del bronzo. La questione delicata e di competenza di tecnici specialisti, non poteva essere risolta dalla nostra Commissione, senza almeno sentire il parere di persona competente in materia . Si credè quindi opportuno di affidare la soluzione del problema ad una Commissione composta dei maestri GALLIGNANI, direttore del Conservatorio di Milano, THERMIGNON DELFINO, direttore della Cappella di S. Marco di Venezia, RAVANELLO ORESTE, direttore della Cappella di S. Antonio di Padova e dell’ing. BARIGOZZI esperto e noto fonditore di campane con officina a Milano, mentre l’opera decorativa delle campane sarebbe stata eseguita nella fonderia artistica MUNARETTI di Venezia, alla quale era già stato affidato il restauro delle statue e del cancelletto della Loggetta. Volendo che la fusione avvenisse a Venezia si costruirono nell’Isola di S. Elena i necessari forni. La fusione avvenne il 24 aprile 1909, sotto la direzione dello stesso cav. BARIGOZZI e riuscì perfetta, come perfetta riuscì l’intonazione delle nuove quattro campane col la del campanone. Per ordine decrescente di grandezza le quattro campane emettono il si , il do diesis, il re e il mi. Trasportate nel cantiere del Campanile, la detta Commissione le collaudò il 7 giugno 1910: il 15 giugno venivano benedette dal Patriarca Cardinale CAVALLARI e il 22 seguente sollevate, dall’esterno del Campanile, al piano della cella mediante un elevatore Stigler. Siccome alla spesa di rifusione delle campane volle concorrere S. S. Pio X , così la Commissione, a ricordo di tale munificenza , fece imprimere nella campana seconda tanto la effigie quanto la firma di Lui”.

Con la collaborazione di Fabio Tomelleri l’Arena © Riproduzione riservata

Disegno campane nell’immagine di copertina di Valerio Held e Maurizio Amendola.

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